di Stefano Simoncini

Un racconto della due giorni di codesign del CrCr (Coordinamento delle realtà collaborative di Roma), che ha messo insieme oltre cinquanta realtà impegnate in processi di collaborazione per progettare una Roma innovativa e inclusiva.

“L’io, se tentiamo un’immagine, è come un nodo in una rete di comunicazioni interpersonali: il nodo può esistere solo se esiste la rete”.
Danilo Dolci

Secondo la celebre formulazione di Eric S. Raymond aka ESR, figura di spicco del movimento hacker, esistono due modelli di collaborazione nello sviluppo di un software “open source”, a cattedrale e a bazar. Nel primo caso si ha un cantiere chiuso in cui “piccole bande di maghi” lavorano in “splendido isolamento”, a partire da una rigida divisione dei compiti e una regia centralizzata. Nel secondo si opera all’interno di “un grande e confusionario bazar, pullulante di progetti e approcci tra loro diversi”, dove si delega tutto il possibile e ci si mantiene “aperti fino alla promiscuità”. Da costruttore di cattedrali, Raymond era convinto che nel modello a bazar soltanto “una serie di miracoli avrebbe potuto far emergere un sistema stabile e coerente”, ma gli esiti del crowdsourcing di Linux lo hanno fatto ricredere colpendolo “come uno shock”.

Ed è proprio questo genere di stupore che ha colpito molti di coloro che erano presenti al coworking Millepiani per la due giorni di “codesign” del neonato Coordinamento di realtà collaborative romane (CrCr). Chiunque fosse entrato per caso negli spazi tra l’industrial e l’underground di Millepiani durante il week end dell’9 e 10 gennaio senza sapere quale fosse il motivo del meeting, avrebbe faticato a interpretare una delle diverse situazioni in cui poteva incappare, tra animate sedute di coprogettazione dei otto tavoli tematici, momenti di restituzione collettiva intorno allo schermo per le proiezioni e cicalecci euforici dei break ricreativi. Ma è proprio questo “caos operoso” (e giocoso) a suggerire che durante la due giorni si è sperimentato il “confusionario bazar” collaborativo “pullulante di progetti” di cui parla ESR, e che quel senso di stupore che ha cominciato a serpeggiare da subito, era dovuto alla percezione diffusa che da quella confusione prendeva “miracolosamente” corpo un “sistema stabile e coerente”. Ma chi sono i soggetti in questione? E di che “sistema” si parla?

Tutto comincia all’inizio del 2014, quando nell’ambito dei percorsi di definizione partenariale dei programmi operativi per i Fondi europei 2014-2020 promossi dalla Regione Lazio insieme agli attori del territorio, un primo nucleo di strutture collaborative romane, tra coworking e fablab, ha cominciato a riunirsi a Millepiani per discutere l’impostazione dei futuri bandi FSE dedicati ai coworking. Ne sono scaturite delle linee guida intese soprattutto a focalizzare il modello di collaborazione da promuovere, operando una distinzione netta tra i tools orientati a una condivisione di risorse finalizzata ad abbattere i costi marginali del lavoro e gli ecosistemi territoriali volti a una cooperazione che produca innovazione e impatti sociali. In concreto c’è una differenza se favorisco soltanto servizi collaborativi gestiti da un unico soggetto privato, il cui unico impatto è magari quello di creare nicchie di mercato alla portata di una società impoverita, come può essere la sharing on demand di un Airbnb o di un Uber, ma anche le reti di coworking deterritorializzate alla wework, o se al contrario promuovo una progettualità che mette a sistema le risorse del territorio per generare sviluppo locale e qualità della vita, tutele e modelli di organizzazione produttiva più sostenibili (progettualità top down come nel caso dei Living Labs pugliesi, che attiva cluster territoriali dell’innovazione, o bottom up come la romana Res – Rete dell’Economia Solidale). In questa ottica i nodi della rete devono essere parte attiva di un progetto che migliori società e territori.



Grazie a questa riflessione quel primo nucleo di soggetti ha capito che il principale valore da mettere a sistema all’interno delle linee guida era proprio il principio di ecosistema che loro stessi costituivano, da intendere come matrice di un nuovo sistema socio-economico complessivo. Di qui l’idea che, a partire da un’istanza generale che esorbitava dal quadro delle politiche europee e regionali, occorresse attivarsi per creare un coordinamento ampio e autonomo di realtà collaborative su scala urbana che moltiplicasse spontaneamente le interazioni innescando processi di consolidamento ed espansione del modello territoriale di sharing. E così è bastato pasturare un po’ in superficie per far aggallare una fauna variegata e numerosa. Per avere un’idea del numero, dei profili e della distribuzione territoriale dei pesci finiti nella rete, che si è data il nome provvisorio di Coordinamento delle realtà collaborative di Roma (CrCr), basta andare alla mappa di Reter (www.reter.org), che a sua volta è uno dei nodi, un progetto di piattaforma di mappe collaborative.

Ci sono coworking di ogni ordine e grado, dallo stesso Millepiani, a Officine Zero, che in una fabbrica recuperata fa anche autoproduzione artigianale e attività sindacali, a Officinelibetta, che ha dato forte impulso alla due giorni di codesign, a Together che a Trastevere ha messo in piedi un “coliving” con uno spazio aperto di coworking e attività culturali gratuite finanziate in parte da un adiacente B&B, allo Spazio Corte, sospeso tra architettura e comunicazione e attivo soprattutto sui temi dell’abitare e dello spazio pubblico, all’Alveare, il primo ad aver integrato uno spazio baby per madri lavoratrici, a Cowo/360, che unisce servizi ai freelance ad attività culturali e di formazione. E poi i fablab, da Roma Makers a SPQWORK, i comitati per la difesa del territorio (da quello del Parco di Villa Flaviana al Comitato di quartiere di Tor Pignattara), laboratori di ricerca e formazione di elettronica e robotica, come Il Terzo Spazio, di design sostenibile e rigenerazione urbana come Studio Superfluo, alle realtà di ricerca collaborativa e mappature, da Italia che cambia ad Arsity, a Naked City Project, a Reter alla consolidata rete internazionale di Ouishare, un “think & do tank” sulla sharing economy, ma anche spazi così ibridi da non avere ancora classificazioni possibili, come Fusolab, che tiene insieme sport popolare, formazione popolare, un laboratorio di produzione e formazione su arti digitali e interattive, una webradio ecc.

Insomma un vero bazar della collaborazione, che dopo qualche incontro preliminare, rendendosi conto di avere in comune molte risorse e molte criticità, ha deciso di concentrare i propri sforzi in due giorni di lavoro collettivo nella pianificazione di strumenti e azioni che favorissero l’organizzazione interna della rete stessa (strumenti di comunicazione e condivisione, servizi di tutela e mutualismo, mappatura dei soggetti e delle risorse), ma anche le sue azioni verso l’esterno (comunicazione, rapporti con la pubblica amministrazione, sviluppo di progettualità e ricerca fondi, ricerca collaborativa).

In definitiva, questo bazar, analogamente a quelli del movimento open source, ha cercato di costruire collettivamente un vero e proprio sistema operativo della nuova intelligenza collettiva che il CrCr ha attivato. E lo stupore di cui parlavo sopra è dovuto al fatto che la pianificazione di questo sistema operativo, cioè dello schema degli strumenti e delle azioni che si può apprezzare nella fotografia con la “mappa dei progetti”, non è avvenuta in anticipo a porte chiuse tra pochi “maghi”, ma è scaturita da un’oretta scarsa di brainstorming collettivo (conoscersi e generare idee) a partire da quattro macro aree: strategie e strumenti per lo sviluppo della rete; strategie e strumenti di cogestione della rete; strategie e strumenti di comunicazione; individuazione e sviluppo di linee di ricerca. I suggerimenti che ne sono scaturiti sono poi stati messi a votazione, per poi costituire la “mappa” del sistema operativo. Grande stupore quindi e grande euforia, perché finalmente si aveva la sensazione di progettare qualcosa che andava al di là di un’idea utile o un business promettente, di progettare qualcosa che andava al di là della rete stessa, in quanto prefigura un’organizzazione sociale e produttiva che non esiste.

In questa due giorni infatti ognuno ha potuto percepire i vantaggi immediati che la rete stessa così organizzata potrebbe fornire, in quanto si parlava delle opportunità legate alla possibilità di attivare assicurazioni per cure odontoiatriche o della possibilità di operare scambi professionali e formativi in un bacino amplissimo di soggetti che fanno innovazione in tutti i settori, o ancora di avere a disposizione una mappa degli strumenti tecnologici a disposizione di queste strutture. Cooperazione, libero accesso, economia circolare, sostenibilità ambientale. A questi bersagli mira la rete, il corpo intermedio del futuro, hackerando il presente.

Articolo pubblicato il 20 gennaio 2016 da Comune-info.net in licenza CC BY-NC 3.0:
http://comune-info.net/2016/01/il-bazar-romano-della-collaborazione/

Foto di Daniele Napolitano Associazione Filmaker